Il Servo di Dio
mons. Angelo Raffaele Dimiccoli
e il suo sacerdozio
Il Servo di Dio Mons. Angelo Raffaele Dimiccoli (Barletta, 12.10.1887 - 5.4.1956), venne consacrato sacerdote il 30.7.1911 da S. E. Mons. Francesco Paolo Carrano. Fu confidato da lui stesso ai suoi cari: “Mi sono fatto sacerdote per salvare le anime, per la gloria di Dio e la difesa della Sua Chiesa anche a costo della mia vita.”
Il novello Levita iniziò il suo ministero sacerdotale nella Parrocchia di S. Giacomo M. in Barletta. Prese a modelli S. Filippo Neri e S. Giovanni Bosco, dei quali fece suoi i motti: “State allegri e non fate peccati”, “Signore, dammi le anime e prenditi tutto.” Dal 28 agosto 1924 (fondazione dell’Oratorio) fino al maggio 1955, sua ultima uscita, l’Oratorio fu il suo campo di battaglia e di lavoro. Il suo primo impegno fu di istruire, evangelizzare, catechizzare, fare la dottrina cristiana, parlare, esortare, predicare e giungere fino alla profondità dell’anima di quella gente, sempre sitibondo della loro salvezza.
Fece suoi i detti evangelici dell’Apostolo: “Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tim. 4,1-2). “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor. 8,16).
In poche parole possiamo scolpire, per chi non l’ha conosciuto in vita, la figura di questo Ministro di Dio: “Semplice nei modi, retto nelle intenzioni, dimesso nel portamento, fiero della Sua Unzione Sacerdotale, cantore appassionato e difensore delle glorie del sacerdozio cattolico, provato nella sofferenza rassegnata, infaticabile nel suo ministero, ripieno dello Spirito di Dio e dell’amore verso il prossimo.” Tale fu il sacerdote don Raffaele Dimiccoli nei 69 anni del suo terreno pellegrinaggio.
Si era formato un motto, che divenne il suo programma di vita: “Sono Sacerdote di Cristo per le anime.” Non ci sono parole per descrivere sufficientemente questo suo programma; per lui non esisteva altro miraggio nella vita, vivere il suo sacerdozio e immolarsi per le anime divenute la sua famiglia. Un giorno gli dissero: “Direttore (così veniva chiamato all’Oratorio),‘ci sono i vostri parenti che vogliono parlarvi.” Egli rivolto ai bambini e a coloro che lo circondavano disse: “Voi, siete i miei parenti.” Con santo orgoglio, soleva ripetere: “Il nostro Oratorio è un giardino, ove sbocciano i fiori più belli: le vocazioni. Viene, Gesù e li coglie per Sé !”
Per la scelta e la formazione delle vocazioni, la fonte principale per il Direttore era la confessione.
Il Direttore da buon agricoltore coltivava, innaffiava questi fiori e con l’ “Ite del Biondo Nazareno” li inviava nel Seminario e negli Istituti religiosi. Era festa nell’Oratorio alla partenza di questi ragazzi privilegiati. Il Direttore celebrava la S. Messa e teneva l’omelia, seguiva anche un programma di canti e poesie nel salone-teatro da lui preparato.
Il Direttore, seguiva i suoi seminaristi con premure veramente paterne: li visitava spesso in seminario e si intratteneva con giovialità. Mi sembrava don Bosco tra i giovani di Valdocco.
Un anno il seminarista Ruggiero Lamacchia dovette lasciare il seminario per motivi di salute per qualche mese. Don Raffaele venne a prelevarlo e dirigendosi alla stazione ferroviaria portò lui le valigie del discepolo. A nulla valsero le proteste del Lamacchia. Ammirai la sua umiltà, ma principalmente la carità del Dimiccoli, pronto a compenetrarsi nelle situazioni dei suoi figli (Mons. G. Carata).
Venendo don Raffaele a visitare i suoi seminaristi mi confermavo nell’idea di trovarmi di fronte a un uomo di Dio, asceta, umile, modesto, sempre unito a Dio e dicevo fra me: “Questo è il modello di prete per i miei seminaristi”, dello stesso parere era anche il mio predecessore, il cardinale Corrado Ursi”. (Mons. G. Carata, Rettore).
In una festività durante il pranzo notò il linguaggio poco corretto di un professore e disse al Vice Rettore: “Con tanta cura e tante precauzioni, custodiamo i nostri seminaristi, non vorremmo che i cattivi esempi di alcuni educatori, vanifichino le nostre fatiche” (Mon G. Carata, Rettore).
Venuto a fare visita ai suoi seminaristi a Molfetta, don Raffaele parlando con me che ero Rettore mi chiese: “Chi è quel gruppo di Sacerdoti?”, gli risposi: “È il Corpo Insegnante del Seminario” e riprese: “Signor Rettore, scusate la mia impertinenza, vedo un sacerdote, che gesticola in continuazione” - “È un sacerdote che insegna Filosofia e Teologia”, don Raffaele riprese: “Rettore, mi sembra che quel professore non è un degno ministro di Dio”. Conclude il Carata: don Raffaele era un profeta - dopo qualche anno quel sacerdote di filosofia e teologia, abbandonò il sacerdozio.
Con il Divino Maestro, accoglieva con tenerezza i bambini, trattenendosi con loro come tra amici più cari, facendosi piccolo come uno di loro. Una signora desiderosa di parlargli vide che stava confessando una bambina e mostrò una certa impazienza. Il direttore si accorse di ciò e l’ammonì con severità e questa rispose:‘“È una bambina!” Il Direttore, la riprese: “Pure essendo una bambina ha un’anima da salvare e io come sacerdote ho il dovere di ascoltarla e dirigerla come gli altri e ciò che sto facendo con lei, le resterà impresso per tutta la vita”, e continuò indicando i bambini come modello d’innocenza e semplicità per gli adulti.
Il centro propulsore di tutta la sua vita fu la celebrazione della S. Messa quotidiana. In quei momenti il Direttore diventava lui stesso “Signum”, cioè Gesù Cristo immolato. Dal S. Sacrificio attingeva la forza per poi dare e dare senza misura.
Guardando il Tabernacolo diceva: “Signore, io sono contento di Te, Tu sei contento di me? Non solo voglio sentire il dolore delle mie colpe, ma principalmente dei peccati altrui, specialmente delle colpe e in corrispondenza dei tuoi sacerdoti.” Confidava: “Quante notti insonni conduce un sacerdote confessore, il suo cuore sanguina dinanzi a situazioni di anime che sfuggono al dolce richiamo di Cristo.” Nel pronunziare queste parole giungeva fino a piangere.
Nelle tristi deviazioni di qualche sacerdote era fermo e deciso e soffriva immensamente per i conseguenti fatti incresciosi e di fronte all’ostinatezza del medesimo, sentiva tutto il peso dell’autorità da lui ricoperta (era Vicario Generale).
Ai suoi congiunti e parenti diceva: “Ringraziate, il Signore di avere un Sacerdote in casa, questo è un grande dono.” Ci esortava a recitare spesso questa giaculatoria: “Signore, vi ringraziamo per averci dato il nostro Direttore Sacerdote”, e ci confidava: “La mattina quando mi alzo e la sera quando vado a letto, bacio con affetto, la sottana che indosso.”
Durante le omelie esaltava il Sacerdozio Cattolico e la Chiesa. Per il suo libero parlare fu perseguitato e accusato dalle autorità civili e minacciato di distruggere la sua opera: l’Oratorio (si era nell’era fascista!). Egli con fierezza esclamò: “Se vogliono bruciare l’Oratorio, prima debbono passare sul mio corpo.”
Cantore delle glorie del Sacerdozio Cattolico, dei suoi meriti, delle sue sofferenze e umiliazioni.
“O Sacerdozio cattolico, augusta e santa creazione della mente di Dio, guida, conforto, luce dell’umanità pellegrina, io ti saluto nello slancio della mia fede cristiana, e sono convinto che chi ti disprezza non ha mai studiato la tua origine, la tua intima essenza, non ha mai letto la tua storia gloriosa anzi… pensandoti, ricordo le parole che Robesbierre ripeteva a proposito dell’esistenza di Dio: ‘è tanto necessario, che qualora non esistesse, bisognerebbe crearlo’.
Come mi sento grande, o Signore quando entro nel santuario della mia coscienza sacerdotale. Le mie debolezze personali, le ombre della mia povera natura si dileguano innanzi allo splendore della mia dignità, io penso che al suono della mia voce si aprono i cieli e s’incarna tra le mie mani il Figlio di Dio. Penso che al suono della mia voce si spalancano gli abissi delle turpitudini umane e restituiscono i loro morti.
O Sacerdozio cattolico, quanto sei sublime, chi potrà decantare le tue glorie? Oh, quanto mi sento grande quando entro nell’intimità della mia coscienza sacerdotale, quando guardo e alzo le mie mani unte col sacro crisma per alzare le Sacre Specie, assolvere i peccati dei miei fratelli. Sacerdozio cattolico, sei grande.
L’augurio migliore che si possa fare ad un Sacerdote è: ‘vita, apostolato, paradiso’. Questa veste nera che indosso come segno di morte al mondo, un giorno brillerà come oro davanti a Dio”.
Dicuonzo M. Ruggero
Rogazionista
Che dire dei suoi discorsi in occasione della morte dei Pontefici Benedetto XV nella chiesa di S. Giacomo M. in Barletta, attraverso il quale fece rivivere i fasti del suo Pontificato e la grande impressione e commozione che suscitò nell’uditorio la chiusura del discorso per la morte di Pio X. In tono profetico egli disse con le lacrime agli occhi: “La Chiesa ne farà un santo, la storia un grande Papa!”. Parole verificatesi a distanza di 40 anni. Menzione meritano i discorsi per le prime Messe Solenni e dei Giubilei Sacerdotali di vari sacerdoti di Barletta, specialmente di quelli da lui stesso coltivati nel suo Oratorio: sono tutti un apologia sull’essere e storia del Sacerdozio Cattolico.
Non voleva che si parlasse male di nessuno e tanto meno dei sacerdoti, perché ministri di Dio!
Un giorno parlando con i miei amici mi sfuggi questa espressione: “Il Sacerdote ha le stesse miserie come tutti gli altri uomini”. Il Direttore mi senti e mi richiamò dicendo: “Bisogna presentare il Sacerdote come un altro Cristo perché ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine Sacro”, e ci invitò a pregare per loro. Per lui il clero andava in ogni caso difeso e la carità era al di sopra di tutto ed evidenziava dicendo: “A Barletta abbiamo delle perle di sacerdoti santi e preparati - si riferiva a - don Romeo Russo, don Sabino Cassatella, don Antonio Marano e Mons. Scuro”. (P.DB.)
Ogni 1° giovedì di mese, nell’Oratorio si faceva l’ora di adorazione per le Vocazioni Sacerdotali e Religiose, ogni giorno dopo la Comunione si recitava la preghiera per la santificazione del clero. Il Direttore era solito dire e ci esortava a ripeterlo: “Grazie Gesù di averci dato con l’Eucaristia il Sacerdozio Cattolico.”
Ai novelli sacerdoti consigliava: “Nel primo Momento chiedete al Signore una grazia particolare l’otterrete facilmente.” “Novello sacerdote, - il Direttore mi ricordava - per un sano apostolato sacerdotale prima di tutto c’era bisogno di una profonda vita di pietà e molto zelo per le anime” (don Donato Lionetti).
Per le ordinazioni sacerdotali dei suoi figli oratoriani, il Direttore pregava l’Arcivescovo che avvenissero nell’Oratorio affinché tutta la Comunità potesse ammirare e apprezzare il Sacerdozio Cattolico e lui stesso organizzava la preparazione spirituale ed accademie di circostanza.
Partecipava intimamente e fraternamente alle gioie dei confratelli sacerdoti. Il suo cuore sacerdotale esultò di fraterna gioia quando apprese, che su proposta del nostro Arcivescovo, Mons. Reginaldo Giuseppe M. Addazi, 4 sacerdoti del clero barlettano erano stati nominati dal S. Padre Pio XII°: “Prelati Pontifici”. Grato dell’onore dato alla nostra città, volle che la curia arcivescovile assumesse la direzione delle cerimonia del possesso: il 19 marzo 1954. Formulò egli stesso il programma e diramò appositi inviti.
Nella ricorrenza del possesso dei Nuovi Parroci e Canonici il suo dono preferito era far pervenire al neo eletto il telegramma con la benedizione del S. Padre, che egli stesso leggeva personalmente in chiesa il giorno della festa. Soleva dire: “Chi sta con il papa sta con Dio.”
Per il 33° di fondazione dell’associazione Azione Cattolica nella Parrocchia di S. Maria della Vittoria in Barletta, il Presidente invitò i partecipanti a firmare il registro delle presenze. Il Servo di Dio firmò: “Sac. Raffaele Dimiccoli.” Il Presidente Filograsso scherzando gli disse: “Monsignore perché non ha specificato il titolo che le spetta? cioè Vicario?” Il Servo di Dio rispose: “C’è qualcosa o qualcuno superiore al Sacerdozio? Il ‘Mons.’ non ha importanza, non serve a nulla, la dignità del sacerdozio è superiore a tutto e a tutti.”
Questo suo particolare “carisma” di amore per la gloria e la grandezza del sacerdozio cattolico l’ha vissuto fino agli ultimi giorni di sua vita.
La sera dell’ultimo martedì santo prima di morire mi disse: “Domani, andando a Messa, offri il Santo Sacrificio dell’Altare in riparazione del tradimento di Giuda e per i Sacerdoti che tradiscono la loro vocazione.” (Angelina Sfregola).
Oggi si pensa a lui come ad una personalità sacerdotale, che ha impresso uno stile di cristiano che vive in tutti coloro che hanno usufruito del suo sacerdozio o ne hanno sentito parlare.
Grati al Signore per il dono di questo eletto suo Ministro e per il bene da lui operato, eleviamo la nostra impetratoria preghiera affinché tramite la Chiesa gli venga attribuito l’onore meritato per le sue apostoliche fatiche: “La gloria dei Santi.”
Dicuonzo M. Ruggero
Rogazionista